ISRAELE NEGA IL NOSTRO INGRESSO NEL PAESE INTERNANDOCI IN UNA CELLA DI DETENZIONE

_
Con rabbia e dispiacere comunichiamo che il giorno 4/11/17 non siamo riusciti ad arrivare nei Territori Occupati Palestinesi per lavorare alla nuova tappa di BORDERMINDPROJECT, un progetto teatrale e culturale di Anticamera Teatro che portiamo avanti dal 2012 in collaborazione con diverse realtà culturali locali. Il governo israeliano ci ha impedito di entrare nel Paese attraverso l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. Abbiamo subito interrogatori di diverse ore al termine dei quali abbiamo ricevuto il diniego di accesso al paese.Siamo stati reclusi in un cella detentiva per una notte con l’accusa di tentativo di immigrazione illegale, per essere poi rimpatriati in Italia il giorno successivo perché, fortunatamente, c’erano dei posti disponibili sull’aereo per Milano. Abbiamo subito un trattamento vergognoso e senza diritti. Stiamo denunciando l’accaduto attraverso tutti i canali ufficiali tra i quali il Consolato Italiano, il Ministero degli Affari Esteri italiano e gli organi di stampa. Questa è l’ulteriore conferma della strategia di isolamento totale che lo Stato di Israele continua a infliggere alla Palestina con ogni mezzo possibile.
_
I punti principali che denunciamo e che mettiamo in evidenza della nostra “esperienza” sono:
-
motivazione scorretta di diniego. Non c’è stato nessun tentativo di immigrazione illegale, anche perché in un primo momento abbiamo ottenuto il visto d’ingresso. Ciò è servito a nascondere il vero motivo dell’espulsione che lo stato “democratico” d’Israele cerca di non rendere pubblico, ossia che le persone non possono recarsi nei Territori Palestinesi.
-
non ci sono stati illustrati i nostri diritti, siamo stati reclusi senza nessuna possibilità di difesa, internati in una cella e privati di tutti i mezzi di comunicazione con l’esterno dalle 20:00 fino al nostro arrivo in Italia il giorno successivo alle 17:00, senza che nessuno potesse essere a conoscenza del nostro stato e delle nostre condizioni, nonostante l’intervento del Consolato Italiano a Gerusalemme.
-
non potremo più tornare in Palestina perché non vi è nessun altro modo per entrare nella Cisgiordania, se non quello di passare attraverso i controlli israeliani presenti in tutti i posti di confine; problema a cui, per tutti i cittadini interessati ad andare in Palestina, non è mai stata diplomaticamente trovata nessuna risposta né soluzione.
Non siamo stati né i primi né saremo gli ultimi ad essere sottoposti a questo tipo di trattamento, ed è nulla in confronto a tutte le ingiustizie e le privazioni che i palestinesi devono subire ogni giorno, ma da cittadini italiani non si può e non si deve tacere di fronte a tali atti promossi da uno Stato che si dichiara democratico continuando impunemente a non rispettare i diritti individuali e il diritto internazionale.
Oltre all’impossibilità di portare avanti il progetto su cui lavoriamo da 5 anni e per il quale sono state investite risorse in parte perse, non potendo raggiungere in nessun altro modo la Palestina la politica ostracista israeliana sta soprattutto impedendo l’incontro di esseri umani e la possibilità di coltivare gli affetti e le amicizie costruite nel tempo attraverso esperienze profonde.
Il progetto ovviamente non si fermerà qui. Abbiamo ancora più motivazione, più interesse e determinazione per andare avanti e continuare a lavorare per far sì che il teatro sia un concreto strumento per abbattere le barriere, perché BORDERMINDPROJECT è nato proprio per questo.
Quello che ci ha dato ancora più forza in un momento di sconforto è stato ciò che ci ha scritto una delle responsabili delle compagnie teatrali con cui avremmo lavorato: “Sappiate che ciò che vi è accaduto indica che il vostro lavoro in Palestina ha un impatto forte. Gli israeliani guardano e controllano tutto qui e impediscono solo ciò che ha realmente effetto sulle persone”.
Non sono consapevoli di averci consegnato una storia e noi con il nostro mestiere e il nostro cuore ci impegneremo per raccontarla nel migliore dei modi.
Chiunque desideri collaborare e dare il suo contributo sarà ben accetto.
Di seguito il report dettagliato di ciò che è accaduto in aereoporto
REPORT AEREOPORTO TEL AVIV BEN GURION 4/11/2017
Torino, 7/11/2017
Io sottoscritto Marco Monfredini direttore artistico e regista dell’associazione culturale Anticamera Teatro di Torino, dal 2012 ho avviato insieme a Valentina De Luca, organizzatrice della stessa, un progetto teatrale e culturale nei Territori Palestinesi dal nome BORDERMINDPROJECT.
Nel 2012, dopo precedenti esperienze personali di alcuni mesi in Palestina, abbiamo realizzato la prima parte di lavoro attraverso una residenza teatrale nel centro culturale Yafa del campo rifugiati di Balata a Nablus, che è sfociato in uno spettacolo sul tema della separazione e un workshop teatrale con i giovani del centro. Lo spettacolo è stato in tournée in Italia e ha ottenuto dei riconoscimenti tra i quali miglior spettacolo al CrashTestFestival.
Nel 2015 abbiamo continuato il lavoro nel campo di Balata, in un centro di aggregazione giovanile di Gerusalemme e siamo entrati in contatto con diverse realtà teatrali professioniste palestinesi quali Freedom Theatre, Al Harah theatre ecc… producendo un documentario sull’esperienza teatrale realizzata in quell’occasione che a breve sarà presentato pubblicamente.
A novembre 2017 ci saremmo dovuti recare nuovamente nei Territori Palestinesi per realizzare una serie di workshop con realtà culturali locali quali Sareyyet Dance Company di Ramallah, Excellence Center for Education and Training Services di Hebron, un gruppo di giovani del campo di Qalandia, il Freedom Theatre di Jenin e il Khasabi Theatre di Haifa. Il tema del lavoro e dei vari workshop teatrali sarebbe stato: “Quali conflitti genera il conflitto?”
Per la realizzazione di tali attività abbiamo selezionato in Italia tra settembre e ottobre attraverso dei provini e dei successivi incontri, due attrici e un interprete italiano-arabo: Giulia, Alice e Omar, tutti cittadini italiani. Omar ha anche un passaporto marocchino essendo nato a Marrakesh e trasferitosi in Italia all’età di 6 mesi.
Il giorno 4 novembre 2017 alle 11:35 circa ora locale siamo partiti da Milano Malpensa e atterrati presso l’aeroporto di Tel Aviv e ci siamo sottoposti ai controlli dell’immigrazione israeliana dichiarando che saremmo entrati nel paese come turisti, consapevoli del fatto, come è ben noto, che rivelando il vero motivo del viaggio saremmo stati immediatamente rimandati indietro, come già successo a molte persone. Io e Valentina, con evidenti esperienze in passato nei Territori, avremmo attraversato il desk dell’immigrazione separatamente dal resto del gruppo.
Io, Valentina, Alice e Giulia abbiamo ricevuto immediatamente il visto d’ingresso, abbiamo ritirato il bagaglio imbarcato e siamo usciti nella hall dell’aeroporto. Omar invece, che si trovava dietro alle ragazze, è stato fermato dal personale dell’aeroporto dopo il solo controllo del passaporto ed essersi anche lui dichiarato turista. E’ stato subitaneamente accompagnato in un’apposita saletta in attesa di un interrogatorio.
Il resto del gruppo, nell’attesa di ricevere notizie, si è occupato di sbrigare le pratiche di noleggio di una macchina prenotata dall’Italia presso gli uffici del secondo piano. Trascorso diverso tempo, tramite messaggi whatsapp, abbiamo tentato di metterci in contatto con Omar. E’ iniziato uno scambio tra lui e Valentina, nei quali ci comunicava, quando ne era in grado, tutto quello a cui veniva sottoposto e alle loro richieste.
L’interrogatorio di Omar è stato incentrato sulle sue origini arabe e sull’esperienza in associazioni umanitarie islamiche presso le quali ha prestato volontariato, subendo controlli al cellulare, alle mail e i social network. In un secondo momento gli hanno richiesto informazioni sulle altre passeggere e sul reale motivo del suo viaggio. Lui ha continuato a mantenere la dichiarazione precedente.
Dopo circa due ore all’altoparlante dell’aeroporto è stato chiamato il nome di Valentina De Luca, indicandole di recarsi con urgenza all’ufficio informazioni. Dopo pochi attimi si sono presentati un uomo e una donna in borghese prelevando, dopo un controllo dei passaporti, tutto il gruppo. Siamo quindi stati portati nella saletta dove era presente anche Omar e altre persone di diversa nazionalità. Da quel momento sono iniziati per ore e a più riprese degli interrogatori incrociati a tutti noi, in maniera separata presso apposite stanzette. Nei confronti di Valentina sono state intimate parole quali: “Se non dici la verità tu e i tuoi amici passerete dei guai seri”.
Ognuno a suo modo, in quella situazione molto difficile e con molta pressione da parte della polizia, ha portato avanti le proprie motivazioni e smentito o meno le precedenti dichiarazioni. In diversi momenti non ci hanno consentito di parlare tra di noi. Durante gli interrogatori erano presenti più persone che con strategie e metodi diversi hanno diviso il gruppo e pressato psicologicamente ognuno di noi; hanno requisito i telefoni consultando liberamente ciò che volevano, hanno preteso indirizzi mail e identità sui social.
A me per primo, che ho deciso di non cedere alle loro insistenti accuse, hanno consegnato un foglio di accesso negato al paese con una motivazione del tutto non rispondente alla realtà: “Prevention of illegal immigration considerations”(considerazioni legate alla prevenzione di immigrazione illegale), pur avendo attraversato precedentemente in maniera regolare i controlli, essere stato richiamato indietro da loro e non aver in alcun modo tentato di entrare irregolarmente nel paese. Dopo poco tempo e altri interrogatori lo stesso foglio è stato consegnato a Giulia, Valentina e Omar. A quest’ultimo in aggiunta alla motivazione pronunciata per gli altri è stato indicato “Public security or public safety or public order consideration” (considerazioni legate alla sicurezza pubblica o all’ordine pubblico)
In quel momento non avevamo nessuna notizia di Alice. In tutte le fasi precedenti e durante gli interrogatori siamo riusciti a metterci in contatto con un nostro amico italiano in Ramallah, che a sua volta ha comunicato al Consolato Italiano cosa stava accadendo, potendo metterlo nella condizione di intervenire. A un certo punto il personale della security, dopo il probabile intervento del Console, è venuto insieme ad Alice (che come abbiamo saputo successivamente aveva dichiarato il reale motivo del viaggio in una seconda fase di interrogatorio) a chiamare Giulia. In quel momento ci è stato impedito di comunicare con loro per sapere cosa stesse accadendo e dove le stessero portando. Abbiamo scoperto solo successivamente, tramite uno scambio di messaggi, che a Giulia era stato revocato il diniego d’entrata e avevano concesso ad entrambe di entrare nel paese con un visto limitato di 8 giorni.
Sono state fasi molto concitate, considerata anche la stanchezza accumulata per essere svegli dall’una di mattina ed essere stati sottoposti a questo trattamento per ore. Ci siamo trovati nella situazione in cui il gruppo era separato e impossibilitato a comunicare in maniera adeguata. Come responsabili del progetto non eravamo più nelle condizioni di assistere le due ragazze che erano venute lì con noi e si erano ritrovate improvvisamente da sole. Eravamo consapevoli che avevano dei contatti con parenti che in quel momento si trovavano in Israele in vacanza e che sarebbero riuscite a farsi spedire dei soldi e si sarebbero recate in un hotel a Tel Aviv. Per diverso tempo non abbiamo ricevuto notizie dalla polizia sul nostro conto, nonostante insistenti e ripetute richieste. Siamo stati scortati nell’andare in bagno. Mi sono preoccupato di poter restituire le chiavi della macchina presa a noleggio, e anche in questo caso sono stato scortato fino all’ufficio del noleggiatore.
Dopo diverso tempo siamo stati caricati su un furgoncino blindato dotato di una gabbia interna con il solo bagaglio a mano, obbligandoci, nonostante le nostre insistenze per portarla con noi, a lasciare la valigia più grande di cui si sarebbero occupati loro. Ci hanno comunicato frettolosamente che ci avrebbero portato in un posto dove avremmo passato la notte fino al nostro rimpatrio che forse sarebbe potuto avvenire il giorno successivo. Dopo un percorso di una quindicina di minuti e un’attesa di altri quindici davanti a un cancello, siamo stati fatti entrare in una struttura decadente e lurida dove ci hanno fatto lasciare i bagagli e tutti gli effetti personali compresi cellulare e vestiti. Ci hanno consentito esclusivamente di portare i soldi e delle medicine che mi occorrevano. Ci hanno consegnato unicamente un lenzuolo e un panino imbustato e dato un bicchiere d’acqua.
Valentina è stata separata da noi, nonostante io abbia chiesto ripetutamente di farci restare insieme. Siamo stati quindi portati tutti in una cella detentiva in condizioni penose e con altre persone di nazionalità di prevalenza ucraina, moldava e russa. Dopo circa un’ora siamo stati sottoposti ad una ridicola visita medica. E’ stata bruscamente respinta la mia richiesta di poter solamente parlare con Valentina per accertarmi delle sue condizioni.
La convivenza con altre persone sconosciute, l’impossibilità di comunicare a causa di una lingua non comune, l’impossibilità di conoscere il motivo della loro detenzione non è stata semplice, soprattutto in virtù del fatto che sia io che Valentina avevamo con noi in tasca una rilevante somma di denaro contante utile al progetto. Siamo solo riusciti a capire che diversi di loro si trovavano in quella cella da giorni in attesa di essere rimpatriati ma senza avere notizie precise in merito. E’ stato umiliante e disumano essersi trovati senza nessun motivo criminoso in una cella detentiva in condizioni inumane e privati della nostra libertà, senza poter avere contatti con l’esterno. In quel momento nessuno sapeva dove e in quali condizioni ci trovassimo. E’ stata lesa la nostra dignità di persone e di cittadini italiani. Siamo stati messi nella condizione di non avere più diritti e nessuna tutela.
La mattina seguente, dopo aver dormito con gli stessi vestiti che indossavamo da più di 30 ore, senza poterci cambiare d’abito e poter utilizzare una doccia, a causa delle pessime condizioni igieniche presenti, ci sono stati riconsegnati i bagagli e siamo stati caricati su un furgone blindato che ci ha portato in una saletta dell’aeroporto dove siamo stati sottoposti a degli approfonditi controlli su noi e i nostri bagagli. Segnaliamo l’evidente discriminazione avvenuta durante le ispezioni nelle quali Omar, a differenza di me, Valentina e un altro signore georgiano, ha dovuto subire perquisizioni corporali, comprese le parti intime. Solo in questo momento abbiamo avuto la possibilità di lavarci frettolosamente i denti e cambiarci la maglia.
Siamo stati quindi nuovamente caricati sul furgone che ha girato per più di 30 minuti tra le piste dell’aeroporto scortando prima il signore Georgiano sul suo volo e successivamente noi sul nostro. Abbiamo chiesto sia in questo momento che in precedenza che si assicurassero che la nostra valigia, lasciata la notte precedente in loro custodia, fosse stata imbarcata, ricevendo tutte le volte superficiali e disinteressate rassicurazioni. I nostri passaporti sono stati consegnati al personale di bordo della compagnia aerea Easyjet che ha avuto l’incarico di restituirli solamente alla polizia all’arrivo in Italia. In condizioni igieniche sgradevoli, al nostro arrivo in Italia siamo stati caricati da una pattuglia della polizia che ci ha accompagnati oltre i controlli di sicurezza e ci ha riconsegnato dopo alcune pratiche i nostri documenti. Ci siamo quindi recati al ritiro bagagli dove, come immaginavamo, non abbiamo trovato la nostra valigia, mai spedita. Abbiamo dovuto quindi attivare le pratiche per lo smarrimento bagagli.
Abbiamo provveduto a comprare a nostre spese i biglietti aerei per il rimpatrio delle ragazze avvenuto il giorno 7 novembre alle ore 21.30.
Marco Monfredini e Valentina De Luca